Nei momenti in cui sono particolarmente stressata, cammino con i cani per ore. Vederli correre liberi, annusare le tracce di un qualcosa, organizzare simpaticamente battute di caccia a quel qualcosa, osservare le loro spontanee interazioni e sentire il rumore delle loro zampe percuotere il terreno schiacciando le foglie secche, mi rilassa estremamente.
Quando loro sono alla mie spalle, gioco ad indovinare chi arriva senza voltarmi, cerco di capirlo dal suono del respiro, dall’armonia dei passi, dalla velocità di propulsione e alle volte di collisione!
Nel momento in cui torniamo alla macchina, si voltano a guardarmi con gli occhi felici e le bocche ansimanti, ed e proprio in quegli istanti che siamo la stessa cosa, che abbiamo ritrovato noi stessi e in noi stessi ci siamo fusi ulteriormente, assaporando l’ebbrezza della libertà, perdendoci di vista e gustando il calore del nostro affetto alla riunione.
A volte tutto questo non mi basta, la società non è fatta per persone sensibili! Ho bisogno di una catarsi maggiore, ed è proprio in quei momenti che quasi magicamente mi ritrovo alle soglie di un qualche canile. E’ un richiamo inconscio, fatto di abbai che si sovrappongono l’uno con l’altro, smorzati di tanto in tanto da un rumore d’acciaio, segno che qualcuno sta suonando una ciotola!
Guardo i loro occhi dai quadretti delle reti, alcuni sguardi sfuggono, altri si impongono, costringendomi ad abbassare la testa e guardare da un’altra parte; altri ancora mi sfiorano gentili, socchiudendosi ogni qualvolta si incontrano con i miei.
I cani probabilmente sono stati selezionati per guardarci negli occhi, la neotenia deve aver fissato anche questa caratteristica nel loro patrimonio genetico, rendendoli attenti alla nostra persona, alle nostre emozioni. La capacità di sostenere lo sguardo e leggerlo in maniera congrua, è comunque attribuibile unicamente ad un idoneo processo di socializzazione.
Secondo una nuova ricerca condotta dall’università di Azabu in Cina, quando un cane e il suo amico bipede si guardano negli occhi, in entrambi i loro organismi viene rilasciato un ormone detto ossitocina, che serve a tradurre al cervello di ambedue l’esperienza come un evento piacevole, da ripetere. Questo è lo stesso ormone che produce la madre quando allatta il bambino e serve a far sì che la stessa se ne prenda cura, favorendo l’attaccamento relazionale e la protezione nei confronti del proprio figlio.
I cani sono inoltre capaci di modulare il loro sguardo per rendersi più teneri ed esprimere delle specifiche emozioni, creando dunque una comunicazione efficace con noi, anche quando vogliono una cosa o andare in una determinata direzione, prima la guardano.
Queste capacità li rendono unici tra gli animali, adatti a creare con l’uomo un rapporto straordinario, dove scienza, natura e fantasia si uniscono, rendendo magico il binomio uomo-cane.
Io ho un cane particolarmente reattivo, ciò non significa che sia aggressivo, o per lo meno non sempre! Sicuramente è un soggetto insicuro, destabilizzato da diversi tipi di stimolazioni, soprattutto quelle attribuibili alla presenza umana in generale, in particolare maschi adulti, barbuti, di robusta costituzione.
Passeggiando capita spesso di incontrare questi soggetti, solitamente camminiamo lungo dei sentieri, viottoli che fanno sì che l’approccio con l’altro sia perlopiù quasi sempre frontale, altra circostanza che mette a disagio i cani, i quali si rassicurano maggiormente avendo ampi spazi, tali da permettere un approccio circolare. Purtroppo strade, stradelle e marciapiedi non sono stati costruiti secondo i principi di prossemica canina!
La mia esperienza come proprietaria in primis, avvalorata dai miei studi e dal mio lavoro, mi ha portata a notare che i cani si voltano a guardare il padrone di fronte ad una incapacità di codifica dello stimolo percepito, cercano come una sorta di traduzione, rassicurazione (famosissimo in campo etologico è l’esperimento detto “del detour”).
Ciò avviene sino a quando il conduttore è ritenuto una base sicura. Quando il cane capisce che non trova comprensione nel proprietario agisce di testa sua, spesso sbagliando, perlomeno secondo il nostro concetto di morale.
Lui risponde rilassando i muscoli del volto, a bocca aperta, socchiudendo gli occhi. Riparte rassicurato, cercando di esibire il fianco ove possibile, avendo rivalutato lo stimolo!
Questa comunicazione fatta di sguardi e di mimica facciale non è un punto di partenza, ma bensì di arrivo. È stata costruita giorno dopo giorno su un rapporto di comprensione e fiducia reciproca, atto a creare tra di noi un forte legame, detto legame di attaccamento, che come sostenuto in letteratura oltre a svilupparsi tra madri e figli, può altresì prendere vita tra proprietario e cane. Questo sentimento – se sviluppato in modo corretto – rende i soggetti destinatari delle cure parentali, abili nella gestione delle emozioni e sicuri nei confronti del mondo circostante.
Per rendere possibile l’instaurarsi di questo legame è necessario prendersi cura del cane, non unicamente tramite la somministrazione di cibo, ma anche trovando del tempo per fare attività insieme, giochi, passeggiate, occuparsi generalmente del suo welfare, che quindi prevede anche la soddisfazione di motivazioni tipiche della sua razza.
In questo modo fortifichiamo il nostro legame, cosa c’è di migliore dell’essere compresi? Inoltre, un cane che sa di essere capito, è anche in grado di mostrarci quando è in difficoltà, come ad esempio fa il mio cane Arturo di fronte alla suddetta stimolazione; ciò mi aiuta a deresponsabilizzare lo stesso da situazioni che alterano la sua omeostasi emozionale, scaricando su di me la decodifica dello stimolo con conseguente contagio emotivo, che si esprime in un’idonea espressione comportamentale.
I cani non sono animali individualisti come i gatti, hanno bisogno di questa condivisione emotiva, che gli permette, se giustamente coltivata all’interno del gruppo, di affrontare al meglio il mondo esterno. Se Arturo avesse una reazione aggressiva, il primo a starne male sarebbe lui stesso. I cani, se non compresi, di fronte ad una stimolazione che li mette a disagio, inizialmente potrebbero entrare in eustress (forma di stress più lieve, propositiva) e dopo ripetute esposizione allo stimolo che loro considerano negativo, si potrebbe arrivare alla generalizzazione accompagnata dal distress (forma cronica, più grave e negativa).
Per generalizzazione, in questo caso si intende un contesto in cui il cane impara ad esprimere un comportamento aggressivo nei confronti di tutti gli uomini maschi, oppure di quelli vestiti in un certo modo, o anche che impari a reagire aggressivamente verso coloro che si approcciano frontalmente in maniera diretta; smetterebbe di differenziare gli uomini dalle donne, esprimendo questi comportamenti in altri differenti contesti.
Questi modelli comportamentali oltre ad essere potenzialmente pericolosi, mettono a repentaglio la possibilità che il cane ha di vivere ove possibile in libertà, limitando anche le passeggiate al guinzaglio, in base soprattutto dalla mole del cane e del conduttore che in tal caso dovrebbe contenerlo. Sono inoltre minatori per il mantenimento di una sana relazione per entrambi i soggetti che interagiscono nel crearla.
Imparare a guardarsi, capirsi, lasciare che nella fusione dei nostri sguardi si liberi ossitocina, sono atti che vanno coltivati sin dai primi giorni di vita insieme; solo così si potrà avere una condivisione empatica, adattando al meglio il cane alla nostra vita, al nostro ambiente, favorendone il benessere e ampliandone la qualità della vita stessa.
Perdiamoci l’uno nello sguardo dell’altro, come solo gli innamorati sanno fare. D’altra parte, come diceva Arthur Schopenauer…
Chi non ha mai posseduto un cane non può sapere cosa significhi essere amato.
1 Comment
Dunque, se tanto mi dà tanto…anche quella famosa storia che “i cani non si guardano mai diretti negli occhi perché viene considerato un atteggiamento di sfida”, può al limite essere considerata veritiera con i cani sconosciuti…non certo con quelli di famiglia!